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11 gennaio 2010

Chi si indigna per Fathima?

Serve ancora parlare di indignazione?
Non credo, ormai la soglia è stata superata e da tempo, per le donne, gli immigrati, gli operai espulsi dal lavoro e quindi dalla esigibilità dei diritti e dalla dignità.
La storia di Fathima racchiude tutto ciò.
Si era sposata con un connazionale, non aveva avuto figli, il marito l’ha abbandonata perché la credeva sterile, lei non stava bene e poco dopo la separazione ha scoperto di essere incinta.
La bambina è nata in Italia eppure, per la stampa locale, “è ben integrata all’asilo” come si trattasse di un corpo estraneo che viveva ad Acquanegra Sul Chiese giunta da chissà dove.
Fathima era rimasta sola, lavorava come colf e badante in regola, ultimamente non stava bene ma non voleva chiamare il medico ed assentarsi perché rimanere a casa poteva significare perdere il lavoro.
A 43 anni ha avuto un malore, è stata male e si è accasciata al suolo, morendo.
La sua bambina, 5 anni, le è stata accanto credendo dormisse, così ha detto ad un amico che è andato a cercarla, perché non rispondeva al telefono.
E’ così che va. Persone che vivono nell’ombra a Mantova come a Rosarno, al di là della condizione umana leggermente migliore. Ma sempre sole, sempre integrabili, mai cittadini e cittadine.
Punite dalla vita, dalle consuetudini sociali che costruiscono fino all’ultimo tassello della (sotto)cultura della nostra civiltà: perché hanno la pelle scura, perché sono donne e, per un motivo qualsiasi, magari legato alle condizioni di salute, non riescono o non vogliono tenere il passo imposto dalle condizioni ineliminabili poste dal pregiudizio, dalle morali religiose, dalle scelte sociali ed economiche che considerano le persone utili solamente come mezzi per produrre -quando servono- ed essere cacciati, isolati, emarginati –quando non servono più- in base al principio dominante oggi in voga: il razzismo, quello eclatante delle ronde calabresi ma anche quello strisciante che solo l’ipocrisia connaturata ad un modello di sviluppo basato sul profitto e sull’egoismo, sa rendersi persino pietoso.
Quello che interessa è lavorare servendo per poco, per niente, senza pretese, senza diritti, così che siano sempre più persone ad avere paura al posto della coscienza e le loro schiera si possa rimpolpare ogni di giorno di più e la lotta per difenderlo, quel lavoro e la sua dignità, divengano desueti nella sua operatività quanto nella concezione che possano ancora esistere.
Allora saranno molti di più a non dover chiamare il medico per paura di restare disoccupati, a lavorare per 25 euro (forse) al giorno e i padroni del vapore avranno ancora più possibilità di scelta nello sfruttare, dividere ed escludere perché alla fine possano restare veramente in pochi “eletti” a godere dei previlegi che sostituiranno i diritti.
Non ci sarà nemmeno più bisogno di invocare la modifica della Costituzione.
Quella Carta in qui riponiamo le speranze della democrazia dell’eguaglianza, l’hanno già resa carta straccia.

Chi si indigna per Fathima?
Mantova 10 gennaio 2010
Monica Perugini

06 gennaio 2010

Piano per l'occupazione delle donne

Il ministro per le Pari opportunità, M. R. Carfagna, e il ministro del Welfare, M. Sacconi, hanno presentato l'1 dicembre 2009, nella sala stampa di Palazzo Chigi, un Piano strategico di azione per la conciliazione e le pari opportunità nell'accesso al lavoro. Cinque le linee di azione individuate: 1) Potenziamento dei servizi di assistenza per la prima infanzia e sperimentazione dei buoni lavoro della legge Biagi per la strutturazione dei servizi privati di cura e assistenza alla persona. 2) Revisione dei criteri e delle modalità per la concessione dei contributi (articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53, riguardante "Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città". 3) Nuove relazioni industriali per il rilancio del lavoro a tempo parziale e degli altri contratti a orario ridotto, modulato e flessibile. 4) La nuova occupazione nel contesto dei cambiamenti in atto: lavori verdi anche al femminile. Infatti, accanto allo sviluppo dei servizi alla persona e alle imprese, sarà particolarmente cruciale, nei prossimi anni, la sfida delle energie rinnovabili. 5) Riportare a Bruxelles il Dossier "Contratti di inserimento al lavoro" per le donne del Mezzogiorno. Ciò in quanto si prevede di aprire un negoziato con Bruxelles sulle ulteriori misure di sostegno e incentivazione della occupazione femminile nel Mezzogiorno, a partire dal contratto di inserimento al lavoro per le donne.

09 settembre 2009

diritti fondamentali delle donne: continuano a verificarsi fatti raccapriccianti

Il capo dello Stato ha fatto un richiamo "alla non discriminazione" nel momento in cui "l'intolleranza, la discriminazione, la violenza colpiscono persone e comunità omosessuali". "La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea - ha ricordato Napolitano - indica tutti i possibili motivi di discriminazione da mettere al bando: il sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le convinzioni personali, le convinzioni politiche, fino alla, così recita l'articolo 6 della Carta, disabilità e all'orientamento sessuale. Quest'ultima, innovativa nozione, va ricordata e sottolineata" quando le violenze si rivolgono contro gli omosessuali.

08 marzo 2009


La violenza sulle donne non ha passaporto

Le principali forze politiche continuano a rappresentare la violenza contro le donne come opera di stranieri e sconosciuti utilizzando in modo strumentale episodi di violenza in cui sia implicato effettivamente uno straniero per giustificare campagne mediatiche a sfondo xenofobo e l’adozione di misure securitarie il cui risultato è solo quello di alimentare la paura e il sospetto. In qualche modo anche questa strumentalizzazione politica è un ulteriore violenza nei confronti delle donne.
Per sradicare la violenza degli uomini è necessario quindi rompere con la cultura diffusa che la produce, impegnandosi per un cambiamento culturale e sociale nei modelli maschili dominanti. In particolare, occorre promuovere una riflessione soprattutto all’interno dell’universo maschile non solo sul tema specifico della violenza contro le donne, ma anche su ciò che questa violenza dice della sessualità maschile e delle relazioni tra uomini e donne.
Tutto ciò nella consapevolezza che la violenza sulle donne chiama in causa tutti gli uomini che continuano a muoversi dentro categorie del maschile generalmente condivise, cioè dentro un ordine simbolico che seppure profondamente in crisi è ancora quello patriarcale.

Sciopero delle Donne

Le donne in Italia hanno i salari più bassi, le retribuzioni dono in media inferiori del 20% di quelle degli uomini a parità di mansioni. La povertà oggi in Italia è soprattutto donna: di chi è in pensione, in maggioranza donne sole, e delle famiglie monogenitoriali condotte da una donna..Sono le donne quelle con i tempi contingentati dall’altro lavoro, quello che ancora oggi non ha valore espresso in Euro, che non rientra nel calcolo della produttività delle imprese, il lavoro di cura dei figli, dei padri, dei mariti, dei lavoratori di oggi, ieri e domani. Quel lavoro che aumenta di più ogni anno, in concomitanza con la finanziaria di turno e i tagli allo Stato Sociale.
L’obiettivo delle riforme del lavoro, della sanità, della scuola e dell’università è di renderci sempre più precarie: mogli e madri “rispettabili” rinchiuse nelle case, economicamente dipendenti da un uomo, che lavorano gratuitamente per badare ad anziani e bambini.Il 24 gennaio scorso si è tenuta a Roma la terza assemblea nazionale del Tavolo 4 «Lavoro/precarietà/reddito»della rete femminista e lesbica delle Sommosse, lì si è deciso di lanciare l’idea di uno sciopero al femminile, costruito in modo autonomo dalle donne lavoratrici, operaie, precarie, disoccupate, giovani, migranti.
Una rottura inattesa contro i padroni, il governo, il Vaticano, ma anche nei confronti dei sindacati istituzionali e del privilegio maschile sul lavoro. Oggi le donne sono le prime a pagare la crisi.
NOI LA CRISI NON LA PAGHIAMO!

07 marzo 2009

Donne e infortuni sul lavoro: la minaccia è la strada

Nel 2007 un incidente su 4 ha riguardato le donne, protagoniste invece di quasi la metà di quelli in itinere. 53 hanno perso la vita. Parla Franco D'Amico, coordinatore generale della Consulenza statistico attuariale dell'Inail.
Subiscono meno infortuni dei loro colleghi uomini e, nella maggior parte dei casi, lavorano in settori più sicuri. Nel 2007 solo un incidente su 4 (27,5%) avvenuto durante l'attività lavorativa ha riguardato una donna, anche se l'occupazione femminile in Italia corrisponde a quasi il 40% del totale. Eppure anche per le donne il lavoro non è una passeggiata: il pericolo maggiore è la strada, ed è proprio sul percorso casa lavoro e viceversa che si consumano gli infortuni.

una donna su tre lavora per passione

Una donna su tre lavora per passione. Per il 29,7% delle italiane, il lavoro infatti rappresenta una fonte di realizzazione e il 27,8% del campione vive il proprio impiego come un piacere. Il 50% delle donne lavora per garantirsi l'indipendenza economica e il 32,4% per necessità. E' quanto emerge da un'indagine dell'Osservatorio Cera di Cupra sulle pari opportunità realizzata, in occasione dell'8 marzo, su un campione di oltre mille donne tra i 18 e i 65 anni. Il 54,9% del campione poi è convinto che una donna che occupa un ruolo di prestigio lo ricopre grazie a capacità, determinazione e qualche rinuncia, in particolare nella sfera affettiva e familiare.