Per tale ragione, ad avviso del rimettente, non potrebbe essere accolta la richiesta, formulata nel giudizio principale dal difensore del lavoratore infortunato, costituitosi parte civile, di autorizzazione alla citazione, quale responsabile civile, dell'assicuratore della società datrice di lavoro, nel frattempo dichiarata fallita. Infatti, trattandosi di contratto di assicurazione facoltativo, allo stato attuale della legislazione il lavoratore non vanta alcun diritto nei suoi confronti, essendo l'assicuratore obbligato esclusivamente nei confronti del datore di lavoro.
Di qui la rilevanza della questione: solamente l'invocata dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 83, comma 1, cod. proc. pen., in combinato disposto con l'art. 1917, secondo comma, cod. civ., consentirebbe la citazione dell'assicuratore in maniera tale che gli effetti civili del giudicato penale possano fare stato anche nei suoi confronti, con conseguente sua condanna, nell'ipotesi di riconosciuta colpevolezza dell'imputato, a corrispondere alla parte civile una somma integralmente ristoratrice del danno ed esente dal concorso dei creditori insinuati al passivo fallimentare.
Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo afferma che, stante il fallimento della società datrice di lavoro, il diritto del lavoratore all'immediato ed integrale ristoro del danno è conculcato. Il lavoratore, infatti, non può esperire un'azione di condanna contro il fallimento, ostandovi l'art. 52, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), ed è costretto ad insinuare il proprio credito al passivo ed a subire il concorso di tutti i creditori, pur godendo del privilegio di cui agli artt. 2751-bis e 2767 del codice civile.
Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo afferma che, stante il fallimento della società datrice di lavoro, il diritto del lavoratore all'immediato ed integrale ristoro del danno è conculcato. Il lavoratore, infatti, non può esperire un'azione di condanna contro il fallimento, ostandovi l'art. 52, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), ed è costretto ad insinuare il proprio credito al passivo ed a subire il concorso di tutti i creditori, pur godendo del privilegio di cui agli artt. 2751-bis e 2767 del codice civile.